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Kitchening

sabato 24 giugno 2017

Calendario...Metti l'Artusi a cena...

Metti...una sera a cena...con l'Artusi! Ma volentieri!!! Un'occasione da non perdere per celebrare degnamente un grande maestro! Ma cominciamo dal principio, raccontando un po' della sua biografia, che è anche interessante: chi è Pellegrino Artusi? Pellegrino Artusi nasce a San Ruffillo di Forlimpopoli nel 1820, in Romagna, primo di tredici fra fratelli e sorelle, e muore a Firenze nel 1911. Di famiglia benestante, inizialmente lavora nella drogheria del padre, poi, in seguito a un brutto incidente occorso alla sua famiglia, si trasferisce con essa a Firenze prima in via Calzaioli, poi, a seguito del grande successo negli affari del commercio della seta, può acquistare un'intera palazzina in Piazza D'Azeglio 25 (oggi 35), dove vive di rendita dall'età di 45 anni fino alla morte. 

Non si sposò mai, ma sistemò, grazie anche alle sue ingenti possibilità, le sue nove sorelle. Fu letterato, gastronomo, uomo di scienza e di cultura: il suo gatto Sibillone si chiamava così dal nome del gioco a sciarade molto in voga nei salotti fiorentini da lui frequentati. La sua fama, raggiunta alla ragguardevole età di settantun' anni, è legata alla pubblicazione dell'opera "La Scienza in Cucina e l'Arte di Mangiar Bene", pubblicata a Firenze nel 1891, dopo che molti editori avevano rifiutato di prenderla in considerazione. Appena uscita, l'opera ebbe un enorme successo, tanto che si dovette subito ristamparla, e in pochi anni il libro entrò a far parte di diritto della letteratura nazionale italiana, divenendo il testo gastronomico-scientifico per eccellenza: contiene 790 preziose ricette della tradizione culinaria regionale italiana. 
In principio erano solo 475, si partiva dai Principii e si arrivava ai Liquori. Le ricette venivano tutte rigorosamente sperimentate nella cucina-laboratorio di casa Artusi,  insieme alla fedele cameriera Marietta Sabatini, di Massa e Cozzile, e al cuoco personale Francesco Ruffilli, compaesano di Artusi. Dopo averle provate, assaggiate ed eventualmente  corrette, le ricette che risultavano perfette al gusto erano finalmente degne di essere trascritte nel manuale: Artusi le descrive per filo e per segno, in un linguaggio semplice, non affettato, comprensibile a tutti, e le correda spesso di aneddoti divertenti e anche di alcune regole di igiene alimentare, cosa non certo usuale né scontata a quel tempo. A pagina 12, ad esempio, possiamo leggere un divertente elogio della bicicletta:

"O santa bicicletta che ci fa provare la gioia di un robusto appetito a dispetto dei decadenti e dei decaduti, sognanti la clorosi, la tabe e i gavoccioli dell'arte ideale! All'aria, all'aria libera e sana, a far rosso il sangue e forti i muscoli! Non vergogniamoci dunque di mangiare il meglio che si può e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia: Infine anche il tiranno cervello ci guadagnerà, e questa società malata di nervi finirà per capire che, anche in arte, una discussione sul cucinare l'anguilla, vale una dissertazione sul sorriso di Beatrice."


I diffusi riferimenti all'igiene alimentare e della persona rivelano l'interlocutore di Artusi, che si rivolge al ceto medio borghese e che sposa uno dei principali obiettivi principale del neonato Stato italiano: l'acculturazione della donna e la divulgazione dei fondamenti dell'igiene e della medicina. L'approccio scientifico dell'autore non rimane quindi confinato alla gastronomia: la spiegazione in quasi ogni ricetta del perché certe buone abitudini alimentari o certi alimenti siano utili a raggiungere una buona qualità della vita, contribuisce a collocare l'autore nel nuovo filone igienista che caratterizzerà il nuovo Stato italiano di fine Ottocento.


Da 475 ricette a 790: il libro si era pian piano arricchito delle ricette che le signore di tutta Italia inviavano ad Artusi. Ma in che cosa consisteva il bagaglio culinario dell'epoca raccolto nel libro? Di che tipo di ricette si trattava? C'erano quelle annotate nei ricettari di casa, le più degne di nota, da preparare per le grandi occasioni: minestre elaborate, timballi, cacciagione, dolci e liquori, servite ai pranzi di rappresentanza. Ma per fortuna in questo libro prezioso trovano la loro voce soprattutto le ricette di uso quotidiano, quelle che anche le donne di servizio, a forza di provare, avevano imparato a  cucinare. Certo, poi, ognuna di esse era resa unica, impreziosita e affinata con quei segreti e quegli accorgimenti, annotati anche questi nei ricettari, che costituivano la ricchezza di ogni padrona di casa. Questi segreti differenziavano la Signora dalla cuoca, e il libro delle ricette di famiglia, uno e uno solo, veniva tramandato di madre in figlia, in segreto, nell'intimità, come un tesoro. 

Negli anni, questo piccolo libro ha continuato e continua ad essere ristampato e ripubblicato, senza soluzione di continuità. La mia modesta spiegazione a tale fatto ve la do con un piccolo aneddoto familiare: quando i collaboratori di mio marito (avvocato) passano del tempo navigando in Internet alla ricerca di spiegazioni, di interpretazioni e commenti agli articoli del Codice, non sapendo bene cosa e dove cercare nel Codice stesso, devono farlo di nascosto, perché se tanto tanto lui se ne accorge, inizia a gridare: "Il Codice!!! Dovete guardare il Codice!!! Guai se vi rivedo andare su Internet!!!". Lui dice che se si sa cercare, nel Codice c'è tutto, e che da lì bisogna partire per diventare dei bravi avvocati. Ecco, secondo me, mutatis mutandis, per imparare a cucinare bene vale lo stesso principio: "L'Artusi! Dobbiamo guardare l'Artusi! E' tutto lì dentro! Macché Internet!" In effetti, la mia casa è strapiena di libri e riviste di cucina, di strumenti elettrici e non, di oggetti in porcellana, silicone, plastica, legno, rame, acciaio, carta, stoffa, per cosa poi? Per leggere ricette spesso non sperimentate, ma solo copiate-incollate, che nella maggior parte di casi risultano essere delle ciofeche! O per cucinare sempre le stesse cose, o quantomeno, cose magari anche diverse, ma la cui esecuzione parte dalle tecniche di base che sono tutte lì, signori miei, nel magico libro di Artusi! Oggi non si parla che di cucina e di cibo: spesso, seduti intorno a un tavolo, con la bocca piena, ci si scopre a parlare di quale ristorante andremo a visitare la prossima volta, e continuiamo a provare ristoranti che hanno fatto di questo mestiere un'impresa a delinquere, che imbandiscono cibi ordinari, con ingredienti di bassa qualità comprati nelle grandi distribuzioni, infiorettandoli magari con salse che altro non sono che pomate di grasso colorato. Allora, se anche voi siete stufi di tutto ciò, se volete cambiare registro nella vostra cucina, io vi consiglio di non andare a cercare chissà cosa, e di leggere l'Artusi, da cima a fondo: vi sembrerà come di respirare aria pulita, e sicuramente le ricette che proverete saranno semplici, ma buone e di riuscita sicura. Riporto qui di seguito la sua prefazione alla trentacinquesima edizione, che andrebbe imparata a memoria e insegnata a scuola fin dalle elementari, nell'ora di filosofia, (che presto entrerà nel piano didattico)...

"La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria. Diffidate dei libri che trattano di quest'arte: sono per la maggior parte fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani; meno peggio i francesi: al più al più, tanto dagli uni che dagli altri, potrete attingere qualche nozione utile quando l'arte la conoscete. Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario, per riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo; basta la passione, molta attenzione e l'avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, ché questa vi farà figurare. 
Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace; ma anche senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi con molto impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar qualcosa. 
Vinto dalle insistenze di molti miei conoscenti e di signore, che mi onorano della loro amicizia, mi decisi finalmente di pubblicare il presente volume, la cui materia, già preparata da lungo tempo, serviva solo per mio uso e consumo. Ve l'offro dunque da semplice dilettante qual sono, sicuro di non ingannarvi, avendo provati e riprovati più volte questi piatti da me medesimo; se poi voi non vi riuscirete alla prima, non vi sgomentate; buona volontà ed insistenza vuol essere, e vi garantisco che giungerete a farli bene e potrete anche migliorarli, imperocché io non presumo di aver toccato l'apice della perfezione.
Ma vedendo che si è giunti con questa alla trentacinquesima edizione e alla tiratura di duecentottantatremila esemplari,  mi giova credere che nella generalità a queste mie pietanze venga fatto buon viso e che pochi, per mia fortuna, mi abbiano finora mandato in quel paese per imbarazzo di stomaco o per altri fenomeni che la decenza mi vieta di nominare. 
Non vorrei però che per essermi occupato di culinaria mi gabellaste per un ghiottone o per un gran pappatore; protesto, se mai, contro questa taccia poco onorevole, perché non sono né l'una né l'altra cosa. Amo il bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come suol dirsi, la grazia di Dio. Amen."


Come ogni anno, anche questo 24 giugno iniziano a Forlimpopoli i festeggiamenti in onore di Pellegrino Artusi, che si protrarranno fino al 2 luglio con tantissimi eventi, tra i quali il più importante è sicuramente la cerimonia di consegna del Premio Marietta 2017, al vincitore tra i cinque finalisti, "cuochi dilettanti", che preparano un primo piatto secondo la ricetta proposta dalla Scuola di Cucina di Casartusi. Anche noi dell'MTC, oggi, celebriamo il grande Maestro con una giornata del Calendario a lui dedicata: ci siamo divertiti (e anche impegnati) a preparare una cena generosa e conviviale preparando alcune delle sue migliori ricette, condividendole con amici e parenti per godere una serata all'insegna del buonumore e della buona cucina. Per il mio menù ho scelto le ricette che faccio sempre, e che facevano sempre mia mamma e mia nonna prima di lei, cominciando dai Principii.





"Principii o antipasto sono propriamente quelle cosette appetitose che s'imbandiscono per mangiarle o dopo la minestra, come si usa in Toscana, cosa che mi sembra più ragionevole, o prima, come si pratica in altre parti d'Italia. Le ostriche, i salumi, tanto di grasso, come prosciutto, salame, mortadella, lingua; quanto di magro: acciughe, sardine, caviale, mosciame (che è la schiena salata del tonno), ecc., possono servire da principii tanto soli che accompagnati col burro. Oltre a ciò i crostini che vi descriverò qui appresso, servono benissimo all'uopo.

110. - Crostini di fegatini di pollo.

Sapete già che ai fegatini va levata la vescichetta del fiele senza romperla, operazione questa che eseguirete meglio operando dentro a una catinella d'acqua. 
Mettete i fegatini al fuoco insieme con un battutino composto di uno scalogno, e in mancanza di questo, di uno spicchio di cipollina bianca, un pezzetto di grasso di prosciutto, alcune foglie di prezzemolo, sedano e carota, un poco d'olio e di burro, sale e pepe; ma ogni cosa in poca quantità per non rendere il composto piccante o nauseante. A mezza cottura levate i fegatini asciutti e, con due o tre pezzi di funghi rammolliti secchi, tritateli fini con la lunetta. Rimetteteli al fuoco nell'intinto rimasto della mezza cottura e con un poco di brodo finite di cuocerli, ma prima di servirvene legateli con un pizzico di pangrattato fine e uniteci un po' d'agro di limone.
Vi avverto che questi crostini devono essere teneri e però fate il composto alquanto liquido, oppure intingete prima, appena appena, le fettine di pane nel brodo.

Retaggio d'infanzia, questi crostini sono quelli che sempre ricerco come antipasto in un buon ristorante, e che preparo sempre a casa: trovo che siano appetitosi e che ben si prestino ad aprire un pranzo o una cena, accompagnati, come consiglia l'Artusi, da salumi, formaggi e sottolii vari, sorseggiando un buon prosecco in attesa del primo piatto. In questo caso, essendo una cena, ed essendo nutrito il vassoio degli antipasti, ho scelto di servire una vellutata di insalata dell'orto, inserendo anche una zucchina, e seguendo pari pari il procedimento della zuppa di zucca gialla, ricetta n. 34, setacciando però l'insalata una volta cotta, per ottenere una minestra cremosa. 




34. - Zuppa di zucca gialla.

Non sarà di zucca gialla, perché non è più stagione (e per fortuna!), ma di lattuga del mio orto; tanto dosi e procedimenti rimangono invariati.



Zucca gialla, sbucciata e tagliata a fette sottili (chiaramente ho usato la lattuga romana), un chilogrammo. Mettetela a cuocere con due ramaiuoli di brodo, e poi passatela dallo staccio.
Fate al fuoco un intriso con grammi 60 di burro e due cucchiaiate rase di farina, e quando avrà preso il color biondo fermatelo col brodo; aggiungete la zucca (lattuga) passata e il resto del brodo, che basti per sei persone. Poi versatelo bollente sopra a dadini di pane fritto e mandate la zuppa in tavola con parmigiano grattato a parte. Se farete questa zuppa a dovere e con brodo buono, potrà comparire su qualunque tavola, ed avrà anche il merito di essere rinfrescante. 




354. - Piccione coi piselli.

Come secondo piatto, ho scelto di preparare il piccione in umido, anche questa è una ricetta di famiglia, mia nonna e dopo di lei mia mamma la facevano seguendo alla lettera questa ricetta, la n. 354. Riporto di seguito la bella introduzione agli Umidi scritta da Artusi a pag. 187.

"Gli umidi, generalmente, sono i piatti che più appetiscono; quindi è bene darsi per essi una cura speciale, onde riescano delicati, di buon gusto e di facile digestione. Sono in mala voce di esser nocivi alla salute; ma io non lo credo. Questa cattiva opinione deriva più che altro da non saperli ben fare; non si pensa, cioè, a digrassarli, si è troppo generosi cogli aromi e coi soffritti e ciò che è il peggio, se ne abusa.
Nelle grandi cucine, ove il sugo di carne non manca mai, molti umidi si possono tirare con questo insieme col burro; e allora riescono semplici e leggieri; ma quando il sugo manca, ed è necessario ricorrere ai soffritti, bisogna usarli con parsimonia e farli con esattezza tanto nella quantità, che nel grado di cottura."

Vogliono dire che la miglior morte dei piccioni sia in umido coi piselli. Fateli dunque in umido con un battutino di cipolla, prosciutto, olio e burro collocandovi i piccioni sopra, bagnandoli con acqua o brodo quando avranno preso colore da tutte le parti per finirli di cuocere. Passatene il sugo, digrassatelo e nel medesimo cuocete i piselli co' quali contornerete i piccioni nel mandarli in tavola.





Ricetta semplice, ma davvero squisita. Siccome come secondo mi sembrava un po' poco, ho fatto anche l'arista, seguendo la ricetta n. 369.

369. - Arista.

Si chiama àrista in Toscana la schiena di maiale cotta arrosto o in forno e si usa mangiarla fredda, essendo assai migliore che calda. Per schiena di maiale s'intende, in questo caso, quel pezzo di lombata che conserva le costole, e che può pesare anche 3 o 4 chilogrammi.
Steccatela con aglio, ciocche di ramerino e qualche chiodo di garofano, ma con parsimonia, essendo odori che tornano facilmente a gola, e conditela con sale e pepe. 
Cuocetela arrosto o allo spiede, che è meglio, o mandatela al forno senz'altro, e servitevi dell'unto che butta per rosolar patate o per rifare erbaggi.
E' un piatto che può far comodo alle famiglie, perché d'inverno si conserva a lungo.
Durante il Concilio del 1430, convocato in Firenze onde appianare alcune differenze tra la Chiesa romana e la greca, fu ai vescovi e al loro seguito imbandita questa pietanza conosciuta allora con altro nome. Trovatala di loro gusto, cominciarono a dire: àrista, àrista (buona, buona!), e quella parola greca serve ancora, dopo quattro secoli e mezzo a significare la parte di costato del maiale cucinato in quel modo.




Per finire, ho servito due sorbetti, uno al limone e uno alle pesche, seguendo le ricette n. 754 e n. 757.

754. - Gelato di limone.

Zucchero bianco fine, grammi 300.
Acqua, mezzo litro.
Limoni. N. 3.
Potendo, è meglio servirsi di limoni di giardino che hanno gusto più grato e maggiore fragranza di quelli forestieri, i quali sanno spesso di ribollito.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua con qualche pezzetto di scorza di limone, per 10 minuti a cazzaruola scoperta. Quando questo sciroppo sarà diaccio, spremetegli dentro i limoni, uno alla volta, assaggiando i limoni per regolarvi con l'agro; passatelo e versatelo nella sorbettiera. Questa dose potrà bastare per sei persone.




757. - Gelato di pesche.

Pesche burrone ben mature, del peso, compreso il nocciolo, di grammi 400.
Zucchero, grammi 250.
Acqua, mezzo litro.
Un limone di giardino.
Tre anime tolte dai noccioli delle medesime.
Queste pestatele fra lo zucchero e mettetele a bollire nell'acqua per dieci minuti. Passate la polpa delle pesche, strizzateci il limone e, mescolato ogni cosa, tornate a passare il tutto da uno staccio ben fitto.
Potrà bastare per sei persone.

Questi sorbetti sono facili da preparare, basta avere la pazienza di toglierli dal freezer ogni ora per mescolarli. Dopo quattro ore sono pronti da servire.


Leggete ed eseguite le ricette dell'Artusi, non ve ne pentirete!!!



giovedì 15 giugno 2017

Sugo freddo mediterraneo per la Giornata Nazionale del Pomodoro nel Calendario del Cibo Italiano



Oggi nel Calendario del Cibo Italiano si celebra il pomodoro, l'ortaggio che non è nato in Italia, ma che è diventato il più italiano di tutti. E' indubbiamente bello, infatti in principio viene usato come pianta ornamentale e i gentiluomini ne fanno dono alle donzelle, proprio come oggi si regala una rosa: veniva chiamato infatti "pomo d'amore". Solo nel diciannovesimo secolo (sì, avete letto bene) inizia a diffondersi l'uso del pomodoro in cucina: specialmente nell'Italia meridionale, il pomodoro trova dunque impiego in moltissime preparazioni, come protagonista o come comprimario. Successivamente si diffonde anche la sua conservazione: Lazzaro Spallanzani, il biologo che confutò la teoria popolare della generazione spontanea,  notò che i succhi del pomodoro, bolliti e conservati in contenitori di vetro chiusi, non si alteravano. 
Il pomodoro è un frutto ricco di ogni ben di Dio: vitamine, sali minerali, antiossidanti. Appena colto dalla pianta ti disseta immediatamente anche se è ancora caldo di sole, ti sferza le papille con il suo sugo saporito, ti sfama con la sua polpa morbida e dolce. 
Per celebrarlo degnamente, secondo me non c'è  niente di meglio che strusciarlo, ben maturo, su una fetta di buon pane toscano (quello vero), condirlo con sale, poco pepe e una generosa quantità di olio, di oliva naturalmente, sempre toscano possibilmente: vi si apriranno tutte le porte del Paradiso. Devo dire che tra una fetta di pane e pomodoro così concepito e...qualsiasi altra cosa, quasi sempre preferisco la prima. Insomma, si capisce che lo amo alla follia?
Oggi, per la Giornata Nazionale del Pomodoro nel Calendario del Cibo Italiano, vi propongo un sugo freddo adatto a condire pasta di ogni forma e tipo, oppure del riso o del farro, o, perché no, anche il cuscus.

Ingredienti per due persone:
8 pomodori piccadilly ben maturi, ma sodi
8 filetti di acciuga sott'olio
2 cucchiai di capperi sotto sale
cinque o sei foglie di basilico
origano secco
sale e pepe
olio di oliva extravergine toscano
scaglie di pecorino toscano poco stagionato
150 g di pasta secca ( io "foglie d'ulivo")

Lavate i pomodori e tagliateli in 4 filetti, togliete i semi e l'acqua di vegetazione e tagliate ogni spicchio in tre pezzetti. Fate a pezzettini anche i filetti di acciuga. Sciacquate i capperi sotto l'acqua corrente e asciugatli bene con carta da cucina. Unite tutto in una ciotola e condite con olio, sale e pepe e col basilico e l'origano. Cuocete la pasta e conditela con questo sugo, mescolandola bene, poi mettetela in frigo per qualche ora. Prima di mangiarla, aggiungete le scaglie di pecorino e mescolate bene.