titolo

Kitchening

sabato 6 dicembre 2014

Tagliatelle ai carciofi e funghi porcini, tutto in un'ora

Non mi dilungherò molto in questo post perché il concorso del Molino Grassi scade tra mezz'ora...

Ingredienti:

150 gr. farina Miracolo del Molino Grassi
50 gr. di semola rimacinata
1 uovo intero
2 cucchiai d'acqua tiepida
4 carciofi morellini
50 gr. di funghi porcini secchi ammollati
aglio, olio, sale e pepe
parmigiano grattugiato

Impastate la farina e la semola con l'uovo leggermente sbattuto con l'acqua. Lavorate fino ad ottenere un impasto omogeneo. Fate riposare mentre preparate il sugo.



Pulite i carciofi e ammollate i funghi. Tagliateli a spicchi. Rosolateli in una larga padella dove avrete messo a imbiondire l'aglio. Aggiungete i funghi strizzati. Saltate qualche minuto, i carciofi devono rimanere croccanti. Mentre fate questo, stendete la pasta, arrotolatela e tagliatela a mo' di tagliatelle. Infarinate con un po' di semola.



 Quando l'acqua bolle, salatela e buttate le tagliatelle e cuocetele per due o tre minuti. Saltatele nella padella con i carciofi e i funghi, poi spolverate di parmigiano. Velocissime e squisite.

lunedì 1 dicembre 2014

FESTIVAL DEI CUOCHI - BIENNALE GASTRONOMICA AL TEPIDARIUM DEL ROSTER

Venerdì 28 novembre alla Biennale Enogastronomica di Firenze, Giardino dell'Orticoltura, sei eccellenti cuochi si sono avvicendati nel presentare altrettanti loro eccellenti piatti: non potevo perdermi un'occasione tanto "ghiotta", nel vero senso della parola. Inizio previsto per le quattro di pomeriggio, alle quattro meno dieci ero già lì. Puntualissimo Leonardo Romanelli, l'organizzatore dell'evento, introduce Paolo Pellegrini, che inizia presentando e intervistando il primo chef, Paolo Gori, della TrattoriaDa Burde. Sembrava un ragazzo timido e riservato, quasi serio, ma dopo la prima domanda ha cominciato a parlare, parlare, e a raccontare del suo ristorante, di come l'abbia sempre considerato come la sua vera casa perché sopra la trattoria c'erano le camere, ma lì ci si dormiva e basta, invece si scendeva giù per lavorare, cucinare e fare società. Prima i barrocciai che arrivavano da Firenze si fermavano da Burde per riposarsi e rifocillarsi, qualcuno si fermava anche a dormire perché la sera non era tanto consigliabile proseguire da soli verso Campi. Davanti al locale si teneva anche il mercato dei polli rubati (i ladri andavano a Firenze a rubare i polli e poi venivano a venderli nella piazza di Petriolo). I ricordi continuano ad affiorare copiosi, Paolo ormai è un fiume in piena: ci racconta che ha imparato a cucinare guardando la nonna, che già a quel tempo faceva una perfetta cottura a bassa temperatura solo "col gomito e col dito", e a lui invece oggi servono i termometri e i forni speciali. Mentre racconta, Paolo esegue la sua ricetta, grano Senatore Cappelli tirato su come un risotto, sfumato con la Malvasia e cotto con brodo di lampredotto, servito col lampredotto stesso tagliato a striscioline e ripassato in padella fino quasi a farlo attaccare per caramellizzarlo. Fuori dal fuoco, condito con un pesto di cavolo nero, aglio e sale, tutto fatto rigorosamente a mano nel mortaio, infine mantecato con un "pecorino" all'85 per cento di latte di pecora e al 15 per cento di latte di capra. Piatto superlativo. Il grano Senatore Cappelli Paolo lo compra direttamente al mulino di Montespertoli, e in questo comune il sindaco ha stabilito che le mense scolastiche devono usare solo quel grano per fare il pane e la pasta per i bambini. E' così che si valorizza un prodotto e si cura la salute perché sembra che questo grano, dal chicco grosso e dal colore tostato, dalla spiga alta un metro e novanta che col vento o la pioggia si piega fino in terra e diventa impossibile da raccogliere a macchina, sia un grano antico tollerato anche dai celiaci.




Salutato Paolo Gori, arriva Marco Stabile, chef e patron dell'Ora d'Aria, una stella Michelin a Firenze in via dei Georgofili. Marco, sempre gentile e disponibilissimo,  presenta il "Peposo alla Manzotin", piatto geniale ottenuto dalla cottura a bassa temperatura della sorra messa sottovuoto a cuocere per trentasei ore a 70 gradi insieme a riduzione di vino e timo (il pepe viene dopo la cottura altrimenti ne va del suo sapore), servita a minuscoli dadini nella scatoletta di latta con la sua gelatina (chi non l'ha amata fin da piccolo) sopra un cucchiaino di miele allo zafferano, che ci sta divinamente…e come contorno, verdure croccanti cotte sempre sottovuoto e sempre a bassa temperatura. La carne cotta così delicatamente e a lungo scioglie al suo interno le piccole nervature di grasso e diventa perciò morbidissima e molto saporita!
Tutti assaggiamo felici, interveniamo, ed è un piacere per tutti e cinque i sensi perché gli chef si prodigano a spiegare i particolari e i metodi di cottura dei loro piatti, a far vedere e toccare gli ingredienti, a permettere che ci avviciniamo per sentire il profumo.




Dopo Marco Stabile arriva Debora Corsi del ristorante La Perla del Mare, a San Vincenzo, proprio SUL mare (a 15 metri dalla battigia, una meraviglia). Ci prepara le seppie in zimino, reinterpretate in maniera originale e personalissima. Le seppie vengono private della testa, frullate con poco olio e sale, vengono fatte delle quenelle e passate al vapore, poi spadellate con poco pomodoro fresco (una volte pronte sembrano quasi dei gamberoni), servite su un letto di coste di bietola frullate, accompagnate dalle teste delle seppie, cotte in padella e arrotolate nelle foglie di bietola tipo sigari sottili, e da…rullo di tamburi…spugna di bietola. Questa gioia per gli occhi e per il palato (frutto delle prove della sera tardi a locale ormai chiuso, e delle notti passate a pensare nuove ricette, i cuochi non dormono mai) si ottiene frullando le foglie della bietola ripassate in padella con olio e aglio, messe nel sifone insieme ad albume di uovo, agitato il tutto, messo in frigo, emulsionato in un bicchierino di plastica poi messo in microonde fino ad ottenere questa sorta di spugna morbidissima e saporita che si scioglie in bocca. Ultimo elemento, di decorazione, polvere di foglia di bietola essiccata a spolverare leggermente. Anche questo un piatto divino, ricco di diverse consistenze ottenute giocando solo con pochi ingredienti.



Grati e disciplinati, tutti assaggiamo e gustiamo i piatti accompagnati dagli ottimi vini delle Cantine Leonardo.
E' adesso il turno della chef Maria Probst del ristorante LaTenda Rossa a Cerbaia. Tedesca, piccolina, ma con il piglio e il carisma della professionista affermata, Maria prepara la Lepre in dolce e forte. Non rosola la carne perché è asciutta e quasi totalmente priva di grassi, e la cuoce coperta di vino con gli odori finché il vino si riduce della metà, a questo punto la ricopre di acqua e la fa cuocere a lungo. Mezz'ora prima di finire la cottura aggiunge cioccolato fondente, canditi, uvetta sultanina, cannella, ginepro e fa restringere la salsa finché diventa quasi uno sciroppo. La lepre viene servita su una fetta di sedano rapa fritto in pastella e cosparso di semi di sesamo (prima di friggere) e accompagnata da cipolline borettane in agrodolce e curcuma. Il piatto viene infine decorato con dadolata di pane saltati in padella con pinoli tritati e piccoli rametti di salvia ananas. Una sinfonia di sapori.




Prosegue Emanuele Vallini, ristorante La Carabaccia di Bibbona, che ci propone il suo Rocher di fegato magro, ottenuto "cuocendo" il fegato di manzo per dodici ore sotto sale grosso aromatizzato con scorza di limone grattugiato e finocchietto selvatico, poi cotto a vapore stretto in cilindri nella pellicola, successivamente frullato e ridotto in piccole palline con un porzionatore, avvolte poi nella granella tostata di nocciole: prelibato e scicchissimo, si apprezza ancor di più se accompagnato dalla sua composta di cipolle rosse di Certaldo.



E' infine il turno di Antonio Badalamenti, giovanissima (23 anni) promessa dell'arte culinaria, che si autodefinisce "battitore libero", in quanto per ora preferisce spaziare e fare esperienze in giro per il mondo, com'è giusto che sia, pur avendo già al suo attivo collaborazioni con i più grandi chef stellati. Finiamo in bellezza con il suo risotto Acquerello di trippa e cannellini.



 Il pomeriggio si è protratto in realtà fino alle 21,30, ma sarei rimasta e molto volentieri per vedere, odorare, assaggiare e commentare ancora e ancora. 



martedì 25 novembre 2014

I miei muffins dell'amicizia con Aristotele e Cicerone





Ah! L'amicizia! "Croce e delizia"! Anche in quest'occasione l'MTC mi ha portato a riflettere su un argomento, o meglio, su un sentimento, che ho sempre messo al primo posto nella mia vita, ma che in realtà non sono mai riuscita a vivere bene fino in fondo. Poiché sono molto pigra, il più delle volte è successo che mi sono lasciata trasportare, e mi sono legata agli altri o per inerzia, o per le circostanze, se non addirittura per certi obblighi. Non sono una gran chiacchierona, così ho avuto sempre amiche logorroiche, quasi autistiche, che non si chetavano mai; non sono un'organizzatrice, così ho lasciato che altri organizzassero e pianificassero il mio tempo libero, ho nascosto le mie idee perché non erano opportune e…sono stata molto male. Tanto male che, all'improvviso, per qualche ostacolo anche di poco conto, con totale incoscienza, varie volte ho sfasciato l'amicizia di punto in bianco, nel bel mezzo del cammino. Per fortuna mi sono venuti in aiuto i Libri VIII e IX dell'Etica Nicomachea di Aristotele che trattano proprio il tema dell'amicizia, di cui riporto un estratto: così come ogni buona lettura, i classici greci mi hanno sempre confortato e soprattutto non mi hanno fatto sentire sola, o strana, o inadeguata, perché i difetti e le mancanze umane in essi sono affrontati con un'analisi che non è mai spietata, (dal momento che persino gli Dei si comportano come i mortali), e tutto viene ricompreso e inserito nell'accadere naturale degli eventi.
Dedico quindi i  miei muffins, e scusatemi, ad Aristotele, perché per tutta la vita questo brano mi ha seguita, di pari passo con l'eterno dilemma se fossi io inadatta agli amici che ho avuto (molti, diversi e nelle diverse età) o se fossero loro inadatti ad essere considerati amici nel senso che auspica Aristotele.

"Dunque, coloro che amano a causa dell’utile, amano a causa di ciò che è bene per loro, e quelli che amano per il piacere lo fanno per ciò che è piacevole per loro, e non in quanto l’amato è quello che è, ma in quanto è utile o piacevole. Per conseguenza, queste amicizie sono accidentali: infatti, non è in quanto è quello che è, che l’amato è amato, ma in quanto procura un bene o un piacere. Per conseguenza, le amicizie di tale natura si dissolvono facilmente, perché gli amici non rimangono uguali a se stessi: se, infatti, uno non è più utile o piacevole, l’altro cessa di amarlo. E l’utile non è costante, ma è diverso di volta in volta. Quindi, svanito il motivo per cui erano amici, si dissolve anche l’amicizia, dal momento che l’amicizia sussiste in relazione a quei fini. L’amicizia perfetta, invece, è l’amicizia degli uomini buoni e simili per virtù: costoro, infatti, vogliono il bene l’uno dell’altro, in modo simile, in quanto sono buoni, ed essi sono buoni per se stessi. Coloro che vogliono il bene degli amici per loro stessi sono i più grandi amici; infatti, provano questo sentimento per quello che gli amici sono per se stessi, e non accidentalmente. Orbene, l’amicizia di costoro perdura finché essi sono buoni, e, d’altra parte, la virtù è qualcosa di permanente. E ciascuno è buono sia in senso assoluto sia in relazione al suo amico, giacché i buoni sono sia buoni in senso assoluto sia utili gli uni agli altri. E come sono buoni, sono anche piacevoli, giacché i buoni sono piacevoli sia in senso assoluto sia gli uni in relazione agli altri: infatti, per ciascuno sono fonte di piacere le azioni conformi alla sua natura e quelle dello stesso tipo, e le azioni dei buoni sono appunto identiche o simili. E una tale amicizia, naturalmente, è permanente, giacché congiunge in sé tutte le qualità che gli amici devono possedere. […] Ma è naturale che simili amicizie siano rare, giacché pochi sono gli uomini di tale natura. Inoltre, richiede tempo e consuetudine di vita comune: secondo il proverbio, infatti, non è possibile conoscersi reciprocamente finché non si è consumata insieme la quantità di sale di cui parla appunto il proverbio. Per conseguenza, non è possibile accogliersi come amici, né essere amici, prima che ciascuno si sia manifestato all’altro degno di essere amato e prima che ciascuno abbia ottenuto la confidenza dell’altro. E coloro che si scambiano rapidamente l’un l’altro i segni dell’amicizia, vogliono, sì, essere amici, ma non lo sono, se non sono anche degni di essere amati e se non lo sanno: infatti, la volontà di amicizia sorge rapidamente, ma non l’amicizia."

Se lo stile e l'approccio quasi scientifico dello Stagirita vi risultasse un po' pesantino, potete leggere gli stessi concetti nel breve brano che riporto qui sotto, tratto dal "De Amicitia" di Marco Tullio Cicerone, scritto nel suo consueto stile fluente e molto accattivante. Con questo intendo dire: avevano già detto tutto i Greci, i Latini hanno in buona sostanza "emulato" , e su questo non sento storie, ovvìa!  (a parte le polemiche, se avete voglia, leggete tutto il trattato di Cicerone, è meraviglioso):

"Se alcuni pensano che l'amicizia derivi dalla debolezza e dalla necessità di cercare qualcuno in grado di procurarci quel che ci manca, è perché attribuiscono all'amicizia, se così posso esprimermi, un'origine davvero bassa e ignobile, volendola figlia del bisogno e dell'indigenza. Se così fosse, quanto più uno si sentisse insicuro, tanto più sarebbe adatto all'amicizia. Ma la verità è un'altra! Infatti quanto più uno ha fiducia in sé, quanto più è armato di virtù e di saggezza, in modo da non avere bisogno di nessuno e da considerare ogni suo bene un fatto interiore, tanto più eccelle nel cercare e nel coltivare le amicizie. Cosa? L'Africano aveva bisogno di me? Figuriamoci! E nemmeno io avevo bisogno di lui! Ma gli ho voluto bene perché ammiravo molto il suo valore, e lui, a sua volta, perché aveva una certa considerazione della mia persona. La confidenza accrebbe il nostro affetto. È vero, ne conseguirono molti e grandi vantaggi, ma la speranza di ottenerli non fu il presupposto del nostro attaccamento. Come siamo generosi e liberali non per riscuotere una ricompensa - non diamo i nostri benefici a usura, ma per natura siamo propensi alla generosità -, così dobbiamo credere che si debba ricercare l'amicizia non nella speranza di un contraccambio, ma nella convinzione che il suo intero guadagno consista unicamente nell'amore. […] Ecco perché, e non bisogna stancarsi di ripeterlo, prima devi giudicare, poi voler bene, e non il contrario."

E allora a questo punto io mi chiedevo: ma perché non mi trovo bene con i miei amici? Forse perché non sono una persona "virtuosa"? Non valgo abbastanza? Non sono buona?, ecc. ecc. Finché, qualche anno fa, ho cominciato finalmente, alla veneranda età di quasi cinquant'anni, a curare me stessa, i miei dubbi e le mie paturnie, coltivando il mio interesse di sempre, la cucina. Ho iniziato guardando i vari blog, e vedevo che tante persone in quella sede vivevano la vita che volevano per quel che potevano, si esprimevano con libertà e sincerità, davano vita alle loro idee, si conoscevano, si confrontavano e facevano "amicizia". Aristotele aveva ragione. Ho iniziato a partecipare al Forum di un bel blog, dapprima timidamente. Era molto bello e divertente, aspettavo a gloria la sera dopo cena per accendere il pc e chiacchierare con gli altri, le serate erano diventate molto piacevoli, quando un giorno, non ricordo più chi lo propose (ahimé) decidemmo finalmente di ritrovarci tutti quanti per conoscerci di persona: fu una serata bellissima, ci buttarono letteralmente fuori dalla pizzeria, tante erano le cose che avevamo da dirci. Da quel momento non ci siamo più persi di vista. Abbiamo fatto tante cose insieme. Mi hanno sostenuto tutti sempre, ognuno a modo suo, e condotta fin qui. Non solo. Con due di queste persone (possono partire i violini e il groppo in gola), ho cominciato a essere veramente me stessa e quando sono con loro sono davvero felice. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire, o, come preferisco dire io, non è mai troppo tardi ;)
Questi muffins sono dedicati con tutto il cuore ad Aristotele e alle mie due amiche-per-sempre. E anche all'MTC, proprio perché mi ha aperto a nuove amicizie, per ora virtuali e presto, ci conto, anche reali.





MUFFINS DELL'AMICIZIA
(perché ci piacciono a tutte e tre)

Ingredienti:
210 gr. di farina 0
40 gr. di cacao amaro in polvere
140 gr. di zucchero
3 cucchiaini di lievito per dolci
1/2 cucchiaino di bicarbonato
1 pizzico di sale
100 gr. di yogurt intero bianco
60 gr. di latte
1 uovo grande
85 gr. di burro fuso freddo
un numero a piacere di ciliegie sciroppate 
cioccolato a scaglie per decorare
3 cucchiai del loro sciroppo

Per diciotto pirottini

Per questi muffins mi sono fatta ispirare dalle nostre comuni voglie di dolce, perché quando siamo a giro in centro a Firenze tutte e tre insieme, ci fermiamo a trovare la nostra amica Gaia del Dolce Emporio, e lì facciamo danni. Se lei non c'è, salutiamo volentieri il suo simpatico babbo, che ci aggiorna sulle ultime uscite "golose", e noi torniamo sempre a casa con qualcosina di imperdibile. Spesso ci fa anche assaggiare, tipo appunto quei cioccolatini con dentro la ciliegia e il liquore che sono irresistibili: mentre li assaporiamo ci guardiamo negli occhi e diciamo "mmmhhh!!!". Così ho cercato di ritrovare quella sensazione in questi muffins al cioccolato, arricchendoli con le ciliegie sotto liquore, e sono molto soddisfatta del risultato.
Ho seguito le istruzioni dettagliatissime della Francesca Carloni, tranne che per quanto riguarda il procedimento del burro e dello zucchero lavorati insieme, infatti non li avevo mai fatti in quel modo e, terrorizzata di doverli casomai rifare, ho seguito la mia tecnica consolidata di fondere il burro e lasciarlo raffreddare: sono squalificata? Speriamo di no!
Dunque: mettete a fondere il burro nel microonde a bassa temperatura e fatelo raffreddare. Setacciate la farina, il cacao e il lievito tutti in una ciotola, aggiungete lo zucchero e il pizzico di sale e mescolate bene. In un'altra ciotola mettete l'uovo sbattuto, lo yogurt, il latte, il burro fuso freddo e lo sciroppo delle ciliegie. Mescolate bene. Aggiungete il composto liquido a quello delle polveri e mescolate "non più di dieci volte" ;). A questo punto ho riempito i pirottini mettendo sul fondo un po' di composto, un paio di ciliegie e ancora composto, poi li ho messi in frigo, mentre il forno intanto raggiungeva la temperatura di 180°. Ho infornato per 20 minuti. Quando si sono raffreddati li ho spennellati con altro sciroppo e cioccolato a scaglie.



Con questa ricetta partecipo all'MTC n. 43 di novembre 2014.

martedì 18 novembre 2014

iPie con farina Miracolo del Molino Grassi



E' una torta facilissima e squisita, se poi è fatta con ingredienti di ottima qualità e accompagnata da una montagna di panna montata, allora è paradisiaca!

Ingredienti per uno stampo da 20 cm.:

Per la pasta brisée, metodo Felder
200 gr. di farina Miracolo del Molino Grassi  
90 gr. di burro freddo
1 uovo
1 cucchiaio di acqua gelata
1 pizzico di sale

Per la farcitura
4 mele royal gala
un cucchiaino di estratto di vaniglia
4 cucchiai di zucchero di canna
una noce di burro
una stecca di cannella


Intridete burro freddo, farina e sale con la punta delle dita fino ad ottenere un composto sabbioso, poi fate la fontana nel mezzo e metteteci l'uovo sbattuto col cucchiaio di acqua fredda. Raccogliete con una forchetta il composto di farina portandolo verso il centro e impastando fino a raccoglierlo tutto, poi continuate a mano, stringendo il composto e impastando pochissimo, solo il tempo necessario a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Fatene una palla e mettetela in frigo per qualche ora almeno (io una notte).
Potete preparare la sera prima anche le mele: fatele a dadini e saltatele in una larga padella con burro, zucchero, vaniglia e cannella. La padella dev'essere larga sennò le mele vengono lesse, invece devono cuocersi, ma non disfarsi. Mettetele a raffreddare.
Trascorso il tempo di riposo necessario, dividete in due la pasta brisée, nella proporzione di due terzi e un terzo. Stendete i due terzi di pasta in un cerchio più grande dello stampo e adagiatevelo dentro, bucherellando il fondo. Se lo stampo è di porcellana, di quelli adatti a d essere portati in tavola, tanto meglio. Il cerchio di pasta dovrà debordare di almeno un paio di centimetri fuori dello stampo. Stendete anche l'altro cerchio di pasta. Rovesciate le mele nello stampo (ricordatevi di togliere la stecca di cannella) e coprite con il cerchio più piccolo di brisée, dopo aver fatto al centro un camino per la fuoriuscita del vapore. Ripiegate la pasta eccedente del cerchio più grande sul cerchio più piccolo, sigillando bene i due strati di pasta e premendo con l'indice della mano destra sulla pasta tenuta tra il pollice e l'indice della mano sinistra, per creare in questo modo anche una decorazione tutt'intorno. Infornate inizialmente a 200°, poi dopo dieci minuti abbassate a 180° e cuocete ancora per mezz'ora circa, fino a quando la superficie sarà dorata.
La consistenza friabile della brisée e il suo sapore rustico, quasi di pane, ne fanno una torta semplice e golosa che vi consiglio di gustare tiepida o a temperatura ambiente, accompagnata da una salsa alla vaniglia o da una dose generosa di panna montata.


Con questa ricetta partecipo al contest del Molino Grassi


1-impastando_CONTEST_2


mercoledì 12 novembre 2014

Torta di ricotta e uvette


Per una buona colazione sana ed energetica non c'è (quasi) niente di meglio di questa torta coccolosa, dolce e fondente. Si prepara in pochi minuti senza alcuna difficoltà, ed è sempre gettonatissima, a qualsiasi ora del giorno, a dire il vero ;)

Ingredienti:
200 gr. di ricotta (ho usato le ricottine Granarolo e sono davvero buone)
180 gr. di zucchero Zefiro
2 uova intere
85 gr. di burro fuso non caldo
125 gr. di farina finissima 00
1 cucchiaino colmo di lievito per dolci Bertolini
una manciata di uvetta biologica e non risecchita, mi raccomando
un pizzico di sale

Montate a neve gli albumi e tenete da parte. Con una frustina a mano fate una bella cremina mescolando insieme la ricotta e lo zucchero, aggiungete i due tuorli e mescolate bene, aggiungete il burro fuso e mescolate bene. Lasciate la frustina e prendete un mestolo di legno,  aggiungete la farina il sale e il lievito (uniti insieme) un pochino per volta, sempre mescolando ma non a lungo, solo quel tanto che basta a rendere omogeneo il composto. A questo punto lasciate il mestolo di legno e con una spatola unite delicatamente le chiare montate a neve, col solito movimento dal basso verso l'alto. Per ultima cosa aggiungete una manciata di uvette, prese direttamente dal sacchetto, senza ammollarle strizzarle e infarinarle, così come sono (sarà questo il segreto per non farle affondare? Mah, fatto sta che a far così è la prima volta che ho delle uvette che non conoscono la forza di gravità, sììì!!!)
Imburrate e infarinate uno stampo di 20 cm. di diametro (è un po' al limite, vedrete che in forno si alzerà dal bordo leggermente, ma senza rovesciarsi, tranquilli) e riempitelo col composto, quindi infornate a 175° per cinquanta minuti circa. E' buona con tutto, col caffè, con il tè, con la cioccolata...:)))


sabato 8 novembre 2014

Sformato di gobbi


Stamattina sono di corsa, ma vi lascio comunque la ricetta perché l'ho promesso ieri sera. Ottima ricetta, non proprio veloce, ma di facile esecuzione, e questa è già una sicurezza;)
L'unica scocciatura è pulire i gobbi, ma se quando siete a comprarli scegliete un bel gobbo giovincello e non troppo grande, il più è fatto perché non ci saranno troppi fili da togliere e sarà comunque ancora tenero. 

Ingredienti:
Un bel gobbo giovane
50 gr. di farina
50 gr. di burro
500 ml di latte intero
50 gr. di parmigiano
2 uova intere
salvia
olio sale e pepe e noce moscata
burro e pangrattato per lo stampo

Panna e parmigiano per la fondutina (ma va bene anche il taleggio)

Si comincia col pulire i gobbi togliendo i filamenti esterni e laterali, poi si tagliano a pezzetti di circa 4 cm. e si mettono in una ciotola con acqua e limone per non farli annerire. Si lessano in acqua in piena ebollizione per circa mezz'ora, si scolano bene e si frullano fino ad ottenere una purea. Questa purea sarà un po' acquosa, quindi andrà ripassata in padella con olio aglio e salvia finché non si sarà asciugata così bene da attaccarsi quasi alla padella (sorvegliate mi raccomando!). Fatela raffreddare. Nel frattempo preparate la besciamella con gli ingredienti suddetti e fatela raffreddare. Quando è tiepida aggiungeteci le uova, la noce moscata e il parmigiano e mescolate bene, poi unite anche la purea di gobbi e mescolate ancora. Imburrate uno stampo e cospargetelo di pangrattato. Accendete il forno a 170°. Mettete il composto nello stampo e infornate per circa un'ora, ma anche di più, la superficie dovrà essere ben colorita. Servitelo tiepido con una fondutina di formaggio, potete farla sciogliendo a fiamma bassissima del parmigiano o taleggio in un po' di panna liquida. Viene bello anche in uno stampo da plum-cake o negli stampini individuali per una cenetta chic!


Buon appetito!




mercoledì 5 novembre 2014

Belle e colorate baguettes per il contest del Molino Grassi

Siete mai stati al Mercato Centrale, primo piano, a Firenze? Sì, di sicuro, ormai non è più una novità. Allora quasi sicuramente avrete anche assaggiato queste magnifiche baguettes del mitico fornaio francese David Bedu, al curry e sesamo nero: davvero se le assaporate ad occhi chiusi vi sembrerà di essere in una delle migliori boulangerie di Parigi. Il maestro Bedu usa solo farine macinate a pietra con tracciabilità controllata e lievito madre, e tutti i suoi pani hanno origini antiche e sono meravigliosi, dal pane di San Lorenzo, al pan a la Reyne, nato in onore di Caterina de' Medici, a queste stupende baguettes, che io parto da casa per comprarle anche se non abito proprio dietro il Mercato Centrale. Poi è successo che mi sono iscritta al contest del Molino Grassi, questo qui, presentato sul blog di Valentina Venuti, che mi ha dato la possibilità di sperimentare due ottime farine: la Kamut e la Miracolo (per il secondo esperimento ci vediamo alla prossima ricetta sul prossimo post :P), e allora mi sono detta: quale migliore occasione per tentare di emulare un grande maestro? 

 Il risultato è stato superiore alle aspettative: dopo un primo tentativo riuscito buonissimo al gusto, ma così così dal punto di vista estetico, (baguettes troppo grosse e tagli fatti troppo in profondità), il giorno dopo, cioè oggi, ci ho riprovato, e stavolta mi dichiaro soddisfatta sotto tutti i punti di vista! Oh, mica si nasce imparati. Provando e riprovando, come dice il mio amico Corrado...


Ingredienti per due baguettes:
350 gr. di farina biologica kamut QB del 
Molino Grassi
245 gr. di acqua
7 gr. di lievito di birra disidratato arricchito 
di lievito madre "Paneangeli" (non è male!)
7 gr. di sale fino
1 cucchiaino di curry
15 gr. di semi di sesamo nero (io ho usato


quelli Wiberg, ottimi)
     

Mettete nella ciotola dell'impastatrice la farina, il lievito e il curry e date una prima mescolata, anche col gancio va benissimo. Aggiungete l'acqua a filo e impastate per cinque minuti. Aggiungete il sale e continuate a impastare per altri cinque minuti, a bassa velocità (2 o 3 al massimo). Alla fine aggiungete i semi di sesamo (io li ho tostati mentre la macchina andava) e date un'ultima girata per incorporarli. Togliete l'impasto dalla ciotola e trasferitelo in un'altra ciotola in cui avrete messo un po' di farina sul fondo. Spolverate l'impasto con altra farina, coprite con pellicola a contatto e lasciate lievitare mezz'ora nel forno con la lucina accesa. Riprendete l'impasto, sgonfiatelo un pochino e rimettetelo a lievitare di nuovo per un'ora. A questo punto, riprendete l'impasto, dividetelo in due parti uguali e stendetene una con il mattarello in forma di rettangolo, ripiegatelo in tre, giratelo con il lato piegato verso di voi e con le mani arrotolatelo fino a formare prima un rotolo più grande, poi, stendendolo con le mani dal centro verso l'esterno, fino a formare una baguette sottile.










Fate la stessa cosa anche per l'altra quantità di impasto e mettete le due baguettes a lievitare per un'altra mezz'ora nello stampo di metallo apposito, nel frattempo accendete il forno a 220°. Trascorso il tempo di lievitazione, incidete le baguettes superficialmente con una lametta in senso obliquo, e infornatele per circa quaranta minuti, avendo cura di abbassare via via la temperatura fino a 160°, o almeno fin quando saranno belle dorate e se date dei loro dei colpetti suoneranno vuote. Fatele raffreddare appoggiate verticalmente. La crosta viene meravigliosamente croccante e saporita, l'interno è alveolato e soffice, e questo credo sia merito del tipo di farina che ho avuto la fortuna di poter usare. Ancora grazie al Molino Grassi e a Valentina Venuti!  


Con questa ricetta partecipo al contest di Molino Grassi 

1-impastando_CONTEST_2


sabato 25 ottobre 2014

Cauliflower pizza!





Be', oggi mi sono convinta che ogni tanto bisogna sperimentare qualche cosa di nuovo, anche se di primo acchito si può essere diffidenti. Mi è successo con questa ricetta: era un po' di tempo che mia figlia Giulia mi esortava a farla, ma io mi rifiutavo. Forse perché pensavo che non sarebbe venuta proprio buona (uso un eufemismo), invece mi sono dovuta ricredere. Comunque alla fine questa pizza al cavolfiore l'ha fatta lei, dopo aver trovato la ricetta in rete su diversi siti americani e averla adattata alla sua dieta super naturale e super light. Io mi sono limitata a guardare mentre la faceva, all'inizio ero scettica, ma via via che il piatto prendeva forma mi convinceva sempre di più. Quando poi l'ho assaggiata, ho pensato che ci sono persone che guardano avanti e vedono (e forse arriveranno) lontano e persone che non si schiodano dal loro orticello...
Questa pizza è buonissima anche così semplice e povera di condimenti, figuriamoci se la si arricchisce con formaggio (scamorza o mozzarella), olio, olive e chi più ne ha più ne metta. Quando uno è a dieta, e a pranzo lo aspettano solo verdure e poco altro, c'è il rischio che vada in depressione, invece con questa pizza mangia le stesse verdure, ma cucinate, il che già da sé non è poco, e pure in maniera appetitosa!



Ingredienti:
1 piccolo cavolfiore
1 uovo
4 cucchiai di passata di pomodoro
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
2 zucchine grigliate
1/2 peperone grigliato
(2 cucchiai di parmigiano e una piccola scamorza, o mozzarella, per la versione "ricca")
sale
pepe
origano 







In un mixer tritate il cavolfiore in briciole piccolissime, mettetelo in una ciotola insieme all'uovo (e al parmigiano), sale e pepe bianco, e mescolate bene. Mettete il composto in uno stampo foderato con carta forno, ad un'altezza di circa 1 cm. e mezzo, e infornate per una ventina di minuti a 175°, finché i bordi si coloreranno. Togliete lo stampo dal forno e mettete sopra la base di cavolo, già cotta, la passata di pomodoro cui avrete unito il cucchiaio di concentrato. Decorate la pizza con le zucchine tagliate a filetti sottili con la mandolina, condite con poco olio e sale e grigliate, e con i filetti di peperone passati prima nel microonde per ammorbidirli e poi conditi e grigliati. Potete anche "arricchire" la pizza con fettine di scamorza o di mozzarella. Aggiungete un filo d'olio e una spolverata di origano. Infornate di nuovo, questa volta accendendo il grill del forno finché le verdure sono completamente cotte e la pizza ha assunto un bell'aspetto appetitoso. A questo punto sfornate la pizza e tirando su la carta forno, sformatela e appoggiatela sul piatto di portata. Fate scivolare via la carta forno aiutandovi con una spatola larga. 
Carine e golose anche preparate monoporzione nei pirottini per un buffet salato o un aperitivo. E allora, brava Giulia!!!









giovedì 16 ottobre 2014

Biscotti con uvetta e pinoli uno-tira-l'altro



Questi biscotti sono buonissimi. Li ho visti nel blog di Labna, che fa sempre cose molto interessanti e soprattutto spiegate benissimo, e mi è venuta subito voglia di rifarli. Ho fatto bene perché sono risultati i biscotti più golosi che abbia mai mangiato. L'unica modifica è stata di sostituire le noci con uvetta e pinoli, sarà perché son toscana e l'uvetta e i pinoli sono proprio nelle mie corde. La consistenza di questi biscotti è morbida e "gentile", anche se a vederli sembrerebbe il contrario: si sciolgono letteralmente in bocca. Sarà forse perché ho tritato i fiocchi d'orzo in farina finissima, non so. Un consiglio: raddoppiate le dosi perché vanno via come il pane, con questa dose ne vengono una trentina e dopo dieci minuti ce n'erano solo sette che ho tolto dalle grinfie della famiglia e ho messo via per la MIA prossima colazione :P 




Ingredienti:
125 gr. di burro a temperatura ambiente
125 grammi di zucchero di canna
1 uovo intero
1 cucchiaino di essenza di vaniglia
50 gr. di fiocchi d'orzo tritati nel mixer a farina fine
250 gr. di farina 00
1 cucchiaino di lievito per dolci
1 pizzico generoso di sale
100 gr. di uvetta ammollata
100 gr. di pinoli

Mettete nella ciotola dell'impastatrice il burro morbido a tocchetti e lo zucchero e iniziate a impastare con la frusta a foglia a velocità 1 finché otterrete una crema morbida, poi aggiungete l'uovo e aumentate la velocità a due. Quando avrete ottenuto un composto omogeneo, aggiungete i fiocchi d'orzo, la farina col lievito e il sale e impastate fino a omogeneizzare il tutto. Aggiungete l'uvetta e i pinoli a velocità uno e trasferite l'impasto in una ciotola che porrete a riposare in frigo per qualche ora.
Fate delle montagnette con un cucchiaio e disponetele su una teglia ricoperta di carta forno, infornate a 175° dai 18 ai 22 minuti circa, devono venire dorati. MIAM!!!






martedì 14 ottobre 2014

La mia (prima) lasagna per l'MTC


Prima di questa sfida, confesso di non avere mai fatto una lasagna dalla A alla Zeta. Ho fatto sì la lasagna, ma comprando sempre la sfoglia già pronta con la scusa di non avere tempo, di aver troppe cose da fare, non ho la spianatoia, non ho il mattarello giusto e mille altre scuse. In realtà non l'ho mai fatta per pigrizia (bruttissima bestia la pigrizia) e per la paura di non riuscire. Ma, per fortuna, è arrivato nella mia vita l'MTC, che mi ha piacevolmente "esortato" ad affrontare sia le mie paure sia la mia pigrizia, e questa è stata sicuramente una buona cosa. Oltre a paura e pigrizia ho dovuto affrontare anche un terribile mal di testa da ansia da prestazione, e l'ho affrontato ignorandolo ;), poi ho dovuto risolvere il problema del "come le faccio queste lasagne?", e intanto cominciavo a leggere i post dei/delle partecipanti, veri mostri sacri di cultura, impressionanti per la loro fantasia e capacità, proprio un altro pianeta, e mi dicevo: mah!...come faranno a venirgli in mente tutte queste idee??? Poi, pian piano, pensa e ripensa, qualche idea è venuta anche a me, ma più mi lanciavo a immaginare nuovi accostamenti di ingredienti e di sapori, più il mio pensiero ritornava come un boomerang alle lasagne che ho sempre mangiato a casa dei miei genitori, col sugo come lo fa la mia mamma, con l'alloro e con i fegatini di pollo, e ho pensato che avrei anche potuto fare tremila tipi di lasagne, assaggiarne diciottomila, ma che alla fine avrei sempre preferito quelle della mamma. Allora ho deciso che intanto comincio da qui, poi staremo a vedere.

Cominciamo dall'inizio, e l'inizio è il soffritto, che ho fatto con carota, sedano, cipolla, aglio e prezzemolo, tutti tritati nel mixer e poi messi a rosolare nella casseruola di coccio. E questa è la fase più lunga, nel senso che "gli odori" vanno rosolati piano piano quasi per un'ora, finché nell'aria si sente un profumino quasi come di funghi. Solo a questo punto si mette giù la carne macinata (500 grammi di manzo, 200 di maiale ed una salsiccia), e una o due foglie di alloro, e si fa rosolare ancora a lungo, per circa quaranta minuti, coperto. Si aggiungono sale e pepe e quattro cucchiai di concentrato di pomodoro diluito con l'acqua bollente, e si fa cuocere ancora. 




Quando il sugo ha preso un bel colore scuro si aggiungono i fegatini di pollo, tre, lavati e sfilettati. Si fa cuocere il sugo ancora per mezz'ora, in tutto ci vogliono circa quattro ore.

A questo punto si prepara la besciamella, mettendo in un pentolino 90 grammi di burro a fondere, si aggiungono 90 grammi di farina e si prepara un roux, facendolo cuocere per cinque minuti circa. Si aggiunge un litro di latte intero FREDDO (sennò vengono i grumi) e si mescola continuamente per venti minuti, finché si ottiene una besciamella cremosa e fluida.
Per la sfoglia, ho fatto la fontana con un etto di farina 0 e un etto di semola di grano duro mescolate insieme e ho messo al centro due uova intere. Ho iniziato a sbattere le uova con una forchetta incorporando pian piano la farina e poi ho impastato a mano per una decina di minuti (fanno male davvero i bicipiti Cristina !!!)




Ho fatto una palla che ho lasciato riposare per un'oretta, poi ho steso la sfoglia!!!  bellissimo, che soddisfazione!!! Ho fatto i quadretti e li ho cotti in acqua bollente salata pochi per volta, scolandoli su un canovaccio, poi ho iniziato la composizione della lasagna.



Ho messo sul fondo della pirofila uno strato di sugo e un po' di besciamella, ho adagiato sopra uno strato di pasta e ho ricoperto con altro sugo, besciamella e tanto parmigiano grattugiato.


Ho infornato a 190° per quaranta minuti.






















Con questa ricetta partecipo al contest n.42 dell'MTC di Ottobre 2014